In un cervello trasformato dall'eruzione del Vesuvio è stato possibile riconoscere, a 2000 anni di distanza, la struttura delle cellule nervose.

In un cervello reso prima liquido e poi duro come pietra dall'eruzione vulcanica che distrusse Pompei ed Ercolano è stato possibile individuare al microscopio elettronico la forma ancora inconfondibile di neuroni umani. A firmare la scoperta è lo stesso team di ricercatori italiani che a fine 2018 aveva effettuato l'eccezionale ritrovamento durante un sopralluogo dei resti del presunto custode del Collegio consacrato al culto di Augusto, un edificio religioso dell'antica Ercolano.

Al loro interno erano state riconosciute alcune schegge del primo cervello vetrificato mai rinvenuto in ambito archeologico e forense: un organo prima liquefatto dalle temperature di 500 °C delle ceneri emesse dal Vesuvio, poi raffreddatosi molto rapidamente in modo da passare attraverso la transizione vetrosa.

Dopo il processo di vetrificazione, il tessuto cerebrale somiglia a una pietra vulcanica. © Pier Paolo Petrone, Università Federico II di Napoli

Cellule riconoscibili. I tessuti vetrificati diventano scuri, lucidi e duri come ossidiana, un vetro vulcanico che si forma per il rapidissimo raffreddamento della lava: ed è con questo aspetto che li aveva trovati il gruppo di lavoro guidato da Pier Paolo Petrone, antropologo forense della sezione dipartimentale di Medicina Legale dell'Università di Napoli Federico II. La vetrificazione è una tecnica che viene usata in medicina nella conservazione di cellule, perché permette di preservarle nel tempo senza danni strutturali: in questo caso ci ha pensato la natura, con i risultati descritti nel nuovo studio, pubblicato su PLOS ONE.

Utilizzando la microscopia elettronica a scansione (SEM) e strumenti avanzati di elaborazione delle immagini Petrone, insieme a un team di archeologi, geologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici, ha individuato nei resti vetrificati di cervello e midollo la struttura di cellule neuronali ancora integre, una circostanza estremamente rara, trattandosi di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa.

I neuroni nel cervello vetrificato, con gli assoni (i collegamenti principali che conducono gli impulsi) ben riconoscibili. © Pier Paolo Petrone, Università Federico II di Napoli

Macchina del tempo. «Ercolano stupisce ancora una volta per la rivelazione di uno dei suoi tesori nascosti» spiega Petrone a Focus.it «dopo l'eccezionale scoperta del cervello vetrificato, il cui studio è stato pubblicato a gennaio scorso dal New England Journal of Medicine, con il gruppo di ricerca da me coordinato abbiamo approfondito lo studio del materiale vetrificato. E incredibilmente - si dice che la fortuna aiuta gli audaci - l'analisi al microscopio elettronico di alcuni frammenti di cervello ed altri campioni prelevati dalla colonna vertebrale della vittima, il cosiddetto "custode" del Collegio degli Augustali, hanno rivelato l'impensabile: un intero sistema nervoso centrale umano di 2000 anni fa, un mondo ultra microscopico fatto di neuroni e di assoni, trovati sia nel cervello che nel midollo spinale, ad un livello di dettaglio incredibile».

I risultati dello studio «mostrano che il processo di vetrificazione indotto dall'eruzione, unico nel suo genere, ha "congelato" le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi». La perfetta conservazione dei neuroni, inoltre, «dà chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano all'inizio dell'eruzione» aggiunge Guido Giordano, Vulcanologo dell'Università di Roma Tre, tra gli autori del lavoro.

Come accertato in precedenza, il custode del Collegio di Augusto sarebbe morto all'istante, senza agonia, per uno shock termico fulminante e non per soffocamento. Il calore estremo avrebbe vaporizzato i tessuti molli e il successivo, netto abbassamento delle temperature avrebbe permesso al cervello di vetrificare come avviene talvolta con i resti delle piante.

Tracce inequivocabili. Lo studio ha fornito anche importanti informazioni su alcune proteine che erano state individuate nei resti di cervello: studiando i geni che codificano per quelle proteine, gli scienziati hanno avuto ulteriore conferma che quel vetro scuro era in realtà materiale cerebrale: «Tutte le trascrizioni geniche da noi identificate sono presenti nei vari distretti del cervello quali, ad esempio, la corteccia cerebrale, il cervelletto o l'ipotalamo», chiarisce Maria Pia Miano, neurogenetista presso Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli.

Alla ricerca hanno preso parte anche Massimo Niola (Medicina Legale della Federico II di Napoli), Giuseppe Castaldo (CEINGE-Biotecnologie avanzate di Napoli) e il Direttore del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano, insieme ad altri ricercatori del CNR di Napoli e delle Università Federico II di Napoli, di Roma Tre e di Milano.

Proprio l'interazione tra esperti afferenti a più discipline sta riportando alla luce particolari inaspettati sugli ultimi istanti di vita degli antichi abitanti dell'area vesuviana e sul rischio associato al vulcano: «Sono già in corso - conclude Petrone - altri esperimenti ed analisi che stanno fornendo informazioni chiave sui tempi e i modi di deposizione dei flussi piroclastici (le cosiddette nubi ardenti), dati di fondamentale importanza per ciò che riguarda il rischio vulcanico cui sono esposte oggi 3 milioni di persone a Napoli e dintorni».

4 ottobre 2020 Elisabetta Intini
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